Vita da nomade: la storia di Federico

Pubblicato il 5 maggio 2025 alle ore 08:52

Ha venduto casa, lasciato lavoro e affetti per girare il mondo in camper, poi è passato alla bicicletta e infine al cammino: «Più semplifico, più scopro chi sono».

Federico nasce a Rovereto, in provincia di Trento, e per trentasei anni conduce una vita che sembra voler essere identica a quella di chi gli sta intorno: casa, lavoro, piccole distrazioni per anestetizzare un senso di vuoto che non vuole ascoltare. «Mi svegliavo con l’idea che sarei dovuto sempre andare avanti così, senza alternative. Ma dentro di me qualcosa urlava. Era un’insofferenza silenziosa, ma costante: la sofferenza di un’anima in gabbia».

Oggi Federico vive da nomade e quando qualcuno gli chiede dove vive lui risponde: «sul pianeta Terra». La sua principale attività nella vita è esplorare, non tanto – o solamente – il mondo fisico, la geografia, le mappe, quanto più sé stesso attraverso le continue nuove esperienze che vive.

Ha cominciato a viaggiare sei anni fa in camper, ma negli ultimi anni ha continuato a decostruire, passando prima al viaggio in bicicletta e poi a quello a piedi, sempre in autosufficienza: «Più semplifico, più scopro chi sono».

 

Il primo viaggio in solitaria.

«Nel 2015 presi in prestito il camper furgonato di mio padre e partii verso Marche, Umbria e Abruzzo» racconta Federico. «Ricordo l’emozione nel girare la chiave nel quadro, il rumore del motore che si accendeva e con esso qualcosa dentro di me.

Ricordo il gusto dolce della libertà, nel non dover rendere conto a nessuno delle mie scelte.
Ricordo la brezza fresca sulla pelle mentre guidavo senza meta, il profumo di terra bagnata dopo un temporale improvviso nelle colline umbre.
Ricordo di essere salito sulla cima del monte Vettore – monti Sibillini, confine tra Marche ed Umbria.
Ricordo ancora il vento freddo e quella visione: una vetta lontana che sbucava dalle nuvole. Lì sentii un richiamo: pensai che mi sarebbe piaciuto scoprire di che montagna si trattava e, magari, anche conquistarla. Così, mappe alla mano, individuai e scalai la cima più alta degli Appennini: il Gran Sasso. Da lassù, dalla cima del Corno Grande, a 2.912 metri, intravidi un nuovo orizzonte dentro e fuori di me».

 

Il sogno di viaggiare.

«Durante le brevi fughe con il piccolo camper di mio padre, da solo o con la morosa di turno, mi ritrovai molte volte a fare lo stesso pensiero: “Quanto mi sarebbe piaciuto non dover tornare per restituire il mezzo al legittimo proprietario, oppure perché finivano le ferie, e potermi invece fermare un altro po’ a esplorare qualche altro luogo sconosciuto.
Poi il lavoro, una vita così sacrificata in una struttura di doveri in cui mi mancava l’aria, in cui mi mancava vivere. Guardavo fuori dalla finestra e sentivo di non appartenere più a quella vita. Col tempo questi pensieri hanno guadagnato sempre maggiore potere».

 

Una vita fuori posto.

«Il dolore non è solo quello fisico, quello evidente, quello che tutti riconoscono. Ne esiste uno più sottile, più infido, che ti scava dentro piano, giorno dopo giorno. È il dolore di sentirsi fuori posto nella propria vita.

Per anni ho vissuto con questa sensazione: svegliarmi la mattina e sentire che qualcosa non andava, ma non riuscire a darle un nome, guardarmi intorno e vedere tutto al "posto giusto" – un lavoro, una casa, relazioni, una routine apparentemente normale – eppure dentro di me qualcosa si agitava. Era come se fossi in una gabbia, e il peggio era che io stesso avevo costruito quelle sbarre».

 

Il cambiamento attraverso il dolore.

«Ricordo una sera in particolare: stavo tornando a casa dal lavoro in auto. Fuori era buio, la strada era deserta. Nell’aria, l’odore dell’asfalto bagnato dalla pioggia. Le gocce cadevano lente sul parabrezza, illuminate dai lampioni arancioni, ma io non le vedevo davvero. Avevo la mente altrove.

A un certo punto ebbi l’impulso di fermarmi. Spensi il motore e rimasi lì, nel silenzio. Non c’era nessuno, solo il ticchettio della pioggia e il battito irregolare del mio cuore. E fu allora che la domanda arrivò, cruda, inevitabile: “È davvero questa la mia vita?”.

Quel pensiero mi colpì allo stomaco come un pugno. Era una domanda che evitavo da troppo tempo, perché conoscevo già la risposta.

Quella notte feci fatica a dormire. Sentivo una pressione al petto, un nodo in gola. La consapevolezza era ormai lì, chiara: stavo vivendo una vita che non era mia. Ma cosa fare? Avevo paura. Paura di cambiare, paura di fallire, paura di scoprire che, una volta abbattute le sbarre della mia gabbia, fuori non ci sarebbe stato nulla.

Ho trovato il coraggio di mollare tutto, di vendere casa, lasciare il lavoro, le relazioni e partire all’avventura. Oggi posso dire che il dolore più grande non è stato partire, lasciare tutto, affrontare la solitudine o le difficoltà del viaggio. Il dolore più grande è stato vivere troppo a lungo ignorando quella voce dentro di me, fingendo di non sentirla, fino a quando non è diventata insopportabile. Quando finalmente ho deciso di ascoltarla, di agire, è stato doloroso anche quello, certo. Uscire dalla propria zona di conforto significa lasciare andare pezzi di sé, affrontare il giudizio degli altri, camminare solo, nel buio, senza certezze. Ma quel dolore era diverso. Era il dolore del cambiamento, della rinascita. Se ripenso a quel periodo, provo una gratitudine immensa. Perché solo attraversando quel dolore ho trovato la mia strada. E ho capito che il dolore, a volte, non è un nemico. È un maestro, che ci spinge oltre le nostre paure per portarci finalmente a casa».

 

Cambiare vita.

«Prima di partire sapevo che mi attendeva un’esperienza meravigliosa, ma poi, una volta nel sogno, capii che era tutto molto più ricco, complesso, arricchente e generativo di quanto avessi mai potuto immaginare.
Ogni giorno è una scoperta, ogni strada una possibilità, ogni incontro un frammento di qualcosa che ancora non sapevo di me.
In questi sei anni di viaggio sono stato in Italia, Austria, Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Republica Ceca, Slovenia, Croazia, Francia, Spagna, Portogallo, Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania, Senegal, Gambia e Grecia, tutto in camper, in bici o a piedi.
Ma soprattutto sono diventato un’altra persona, evolvendo a ogni nuova sfida.
Ho pedalato più di 20.000 chilometri, camminato altri migliaia di chilometri attraverso sentieri e conquistato centinaia di cime, ho vissuto in ecovillaggi, in una comunità Tantra, studiato comunicazione non violenta (CNV), mi sono formato come istruttore di meditazione, ho fatto il volontario per Workaway e per i bambini Talibé in Senegal, housesitting, Rainbow Gathering e un miliardo di altri pazzi incontri e pazze avventure».

Vita da nomade.

«La vita che mi sono costruito è tanto ricca di avventure, nuove esperienze, scoperte e meraviglia, quanto di addii.
Vivere da nomade, in solitaria, significa anche dover fare i conti con la solitudine.
Quando attraverso il deserto del Sahara in bicicletta, o percorro trail di 600 chilometri tra aspre montagne dove i sentieri si perdono, sono a mio agio circondato dall’elemento natura. Paradossalmente, nel centro di una città, dove le possibilità di socialità sarebbero potenzialmente infinite, mi capita di sentirmi solo. Vedo le persone che corrono verso un appuntamento, una casa dove c’è qualcuno ad attenderli, una rete sociale che li sostiene, e in questo contesto la solitudine si fa sentire di più. È questa forse la mia più grande difficoltà da quando sono partito. Tuttavia, questo aspetto ha anche una duplice valenza, perché è proprio nelle difficoltà, nell’ignoto che si dipana, che appare e prende forma l’immagine di chi sono veramente».

 

Diario di viaggio.

«Mia madre non riusciva ad accettare la mia decisione di partire ed era molto preoccupata. Così, per evitare di averla al telefono ogni giorno, decisi di aprire una pagina Facebook dove scrivere due righe e postare una foto quotidianamente. Così è nato il diario di viaggio FreeFede dove, a eccezione di brevi periodi di stacco, scrivo tutti i giorni.
Oggi siamo al giorno di viaggio 2188. È il diario dei tanti percorsi all’interno di un viaggio. I percorsi mentali, le strade del cuore, le nuove esperienze attraverso cui conoscere nuovi me. Tuttavia io non sono il protagonista, non mi interessa apparire, né mi interessa la costruzione di un personaggio; l’unico vero protagonista è il Viaggio».

 

Cosa puoi imparare viaggiando.

«Ho imparato che sono capace di molte più cose di quante avessi mai immaginato e che il mio limite sono soltanto io. Ogni incontro, ogni sfida, mi ha insegnato a vedere il mondo con occhi nuovi, scoprendo aspetti di me stesso che prima ignoravo.
Ho imparato a vedere le cose da prospettive mai considerate prima.
Ho imparato qualche parola in norvegese, in senegalese, greco, portoghese, francese, arabo, olandese e a parlare fluentemente spagnolo e inglese.
Ho imparato a mostrarmi con i miei sentimenti, i miei limiti, i miei bisogni e sto imparando a comunicare senza giudizio.
Ho imparato a camminare a testa alta e a rapportarmi con chiunque mi si presenti di fronte.
Ho viaggiato attraverso trentaquattro Paesi, vissuto nel più antico ecovillaggio italiano, in una comunità Tanta in Francia, mi sono formato come facilitatore delle meditazioni attive di Osho e dei cerchi di parola degli uomini. Ho piantato alberi per lavoro in Islanda, collaborato con riviste online come creatore di contenuti e fatto il magazziniere in Olanda. Ho fatto volontariato in Senegal al servizio dei bambini Talibé e scalato le cime più alte di tutte le regioni che ho finora attraversato.
Ho imparato ad avere più rispetto di me stesso, e vedere come sono cambiato nel tempo, grazie alle molte esperienze diverse vissute, alle culture incontrate e all’arricchimento dei tanti incontri, mi rende fiero e orgoglioso di me.
Oggi sono capace di cose che soltanto quattro o cinque anni fa, non avrei potuto nemmeno immaginare. Se potessi tornare indietro, non solo lo rifarei, ma forse lo farei prima.
Ho imparato che tutto è possibile, basta soltanto volerlo».

 

Viaggiare o trasferirsi all’estero: fuga dai problemi?

«Al contrario: per quella che è la mia esperienza, il Viaggio mi ha permesso di incontrare il mio vero me stesso, di confrontarmi con i miei demoni, farci amicizia, perdonarli e infine averli come alleati.
Un viaggio di sei anni in solitaria significa incontrare i propri problemi e non il contrario.
Per me era molto più facile nascondermi nella certezza della quotidianità, piuttosto che nell’ignoto di giorni che vanno costruiti uno alla volta, potendo contare soltanto su me stesso. La vita è un’alterna cadenza tra gioia e dolore, indipendentemente dal luogo in cui si vive, dallo stile, il conto in banca. Fare pace con questo pensiero è il punto di partenza per una maggiore serenità». 

 

Definizione della parola “viaggiare”.

«Per me il concetto di viaggio e quello di esplorazione, conoscenza, scoperta, sono indissolubili. Per definizione, il viaggio non ha una meta, definisce il processo tra una stasi e una meta, e non può certo comprendere al suo interno anche questi due elementi.
Viaggiare è esplorazione, scoperta, conoscenza, è il percorso stesso. Sento spesso confondere il viaggio con la vacanza. La vacanza è una pausa. Il viaggio è trasformazione».

 

Una donna avrebbe più difficoltà a fare quello che stai facendo tu?

«Non credo che il genere possa essere un reale limite. Ho incontrato decine di viaggiatrici sole. Purtroppo non viviamo in un mondo sempre accogliente, però dobbiamo sempre fare attenzione all’antagonista, l’impostore più potente e pericoloso: noi stessi, le nostre paure».

 

Cosa consiglieresti a chi sogna di partire ma ha paura?

«Le paure, così come tutti i sentimenti meno piacevoli, portano un dono prezioso: ci indicano dove porre la nostra attenzione. In corrispondenza di ognuno di loro c’è un bisogno che aspetta di essere incontrato e ci offre l’occasione di svincolarci dal sintomo e concentrarci sul nocciolo della questione.
I sogni sono fatti per essere vissuti, non per essere rinchiusi dentro a un cassetto.
Ecco il mio consiglio più prezioso: segui la tua strada, non lasciarti influenzare dalla mia storia o quella di altri; costruisci la tua realtà, non importa quanto pazza possa sembrare al resto del mondo, non sbaglierai. Non aspettare il momento giusto. Il momento giusto è quando decidi di partire».

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Commenti

Dora Bertolutti
2 mesi fa

Caro Stefano, ammiro molto la tua storia e ti capisco benissimo, la vita e' solo una ed e' un mosaico di momenti da vivere alla meglio, siamo qua solo brevemente per questa avventura..

Carlo Brusco
2 mesi fa

Ciao Federico ti seguo da un bel po'che coraggio per la tua scelta.Ma ti vedo proprio sereno e consapevole della tua scelta.Non mollare mai e viva la vita.🚴💪