Il dialogo è un elemento della narrazione importantissimo che determina la buona o cattiva qualità di un libro.

Il dialogo, in letteratura, è molto più di un semplice scambio di battute: attraverso le conversazioni, i personaggi prendono vita e carattere, il lettore ha la possibilità di conoscerli meglio, di scoprire sfumature nascoste della loro personalità e del loro vissuto e di affezionarsi in modo spontaneo e coinvolgente.
La parola “dialogo” deriva infatti dal greco diálogos, composta da diá (“attraverso”) e lógos (“parola, discorso”) e significa “discorso attraverso”, ossia comunicazione che passa da una voce all’altra.
La funzione del dialogo
Fin dall’antichità, dal teatro greco ai testi filosofici di Platone, il dialogo è stato usato per far emergere visioni del mondo, creare tensione narrativa o avvicinare il lettore alla realtà dei personaggi.
Un buon dialogo ben costruito non serve solo a “riempire” la pagina, ma ha sempre uno scopo preciso e può avere diverse funzioni:
- Informativa: serve a fornire informazioni e raccontare episodi pregressi, a fornire elementi utili che però non si trovano direttamente sulla scena, o a mostrare quelli che sono i rapporti tra i vari personaggi
- Narrativa: spesso può essere il dialogo a muovere la trama, rivelare conflitti o dare il via a nuovi eventi.
Il dialogo deve essere credibile
Quando ben costruito, il dialogo può diventare uno degli strumenti più potenti della scrittura, ma scrivere dialoghi efficaci non è affatto semplice ed è una delle fasi più critiche per molti autori anche molto bravi, perché richiede equilibrio tra:
- realismo
- chiarezza
- coerenza narrativa.
Per essere credibile, bisogna tenere conto anche dell’ambiente, dell’epoca e del contesto sociale in cui è ambientata la storia.
Se la protagonista è, per esempio, una nobildonna dell’Ottocento, non potrà certo salutare con un “Ciao”, parola ancora dialettale e poco diffusa a quel tempo. Risulteranno molto più credibili formule come “Salve”, “Buongiorno” o persino “Addio”.
La voce nei dialoghi
Il dialogo deve tenere conto anche di altri fattori, come per esempio l’età dei personaggi. È logico che una bambina di cinque anni non potrà parlare come un uomo di quaranta: un linguaggio troppo artificioso risulterebbe inverosimile.
Ogni personaggio deve avere una voce riconoscibile.
Per essere credibile e funzionare, un dialogo deve sembrare reale e quindi è ammesso un linguaggio più colloquiale, dialettale, qualche piccolo errore o sbavatura, ma non può essere una semplice trascrizione del parlato.
Linguaggio parlato e linguaggio narrativo
Se registrassimo una conversazione qualunque e provassimo a trascriverla, risulterebbe poco chiara, sgrammaticata e in alcuni punti addirittura senza senso, perché il linguaggio parlato non è fatto solo di parole, ma anche di: pause, gesti, espressioni che è impossibile trasporre su carta.
L’abilità dello scrittore sta nell’avvicinarsi il più possibile a quella spontaneità, creando una sintesi armoniosa e naturale con le esigenze letterarie.
Quali virgolette usare in un dialogo?
Il dialogo è strutturato da battute messe tra virgolette, che possono cambiare in base alle norme redazionali della casa editrice o alla scelta dell’autore che decide di pubblicare in self.
Le virgolette possono essere:
- apici
- caporali
- trattino (lungo).
La frase che le regge la battuta di dialogo si chiama reggente e può essere posizionata:
- prima del virgolettato: Raymond rise. «D’accordo, immagino che…»
- dopo il virgolettato: «Perché scavi?» chiese Tim
- in mezzo: «Mi dispiace tantissimo» rispose Doroti «ti chiediamo scusa»
Al posto della reggente può esserci una descrizione di ciò che il personaggio sta compiendo, una reazione fisica o emotiva o un movimento nello spazio.
«Vado io». Si alza ed esce dalla camera.
Errori da evitare
Per concludere, accertati sempre che i dialoghi nella tua storia:
- non siano incoerenti rispetto all’identità del personaggio
- non siano vuoti e inutili
- non siano informativi con “spiegone”.
Se una cosa non ti convince, nel dubbio, taglia.